Pride, a spasso per Milano

Orgoglio gay? Cosa ne pensano i milanesi?

Il corteo del Pride Milano 2001.

Cosa mai penseranno i milanei del Gay pride? Munito di registratore mi reco nella metropoli lombarda un pomeriggio del maggio scorso per chiederlo direttamente a loro. Seguitemi.

Per riscaldarmi comincio da una stazione della metropolitana. Una ragazza attende sulla banchina. «Cosa ne pensi del Gay pride a Milano del 23 giugno prossimo?» Senza una piega risponde: «Sono pienamente d’accordo; mi è piaciuta la manifestazione di Roma dell’anno scorso e mi va benissimo che sia fatta anche qua». Neo-laureata in sociologia, la ventiquattrenne verrà alla parata se non avrà impegni… la ringrazio e prendo la metropolitana per Duomo. Nel vagone interpello tre persone: nessuno è di Milano.
Piazza Duomo è gremita di scolaresche, turisti e stranieri come riconoscere i milanesi doc? Impossibile… Ed infatti infilo una serie di gaffes madornali rivolgendomi nell’ordine a due spagnoli, una rumena e un inglesino à la Alfred Douglas.

Aggiusto il tiro e dopo che una decina di milanesi glissano alle mie richieste fingendo di non essere tali (ma li tradisce l’accento … ), fermo due ragazzi sui trent’anni di origini meridionali ma abitanti in città. «II Gay pride si terrà a Milano: siete favorevoli o contrari alla manifestazione?» chiedo. Mi risponde uno, per entrambi: «Per me non ci sono problemi: non sono di quelle vedute lì, ma non ci sono problemi». Subito dopo rivolgo la stessa domanda a una quarantenne che dice: «Non sapevo nemmeno che si svolgesse qui. La cosa non mi occa, non ho nulla contro i gay, anzi ho amici carissimi gay».

A questo punto credo di avere ingranato con le interviste e la mia domanda «Che ne pensa del Gay pride?» oppure «Sa che gli omosessuali scenderanno in piazza a Milano?» diventa una sorta di cantilena.

Un sessantasettenne mi risponde che non ha «niente in contrario alla parata se si svolge secondo le regole normali. Se è una esibizione, allora … ». Non credo alle mie orecchie. Provo a ripetergli la domanda: «E giusto che gli omosessuali scendano in piazza in giugno a Milano?». «Sì ripete l’importante è che stiano nelle dovute forme.» «Niente travestiti? » ribatto. «No, no: niente esibizionismo» conclude. Si avvicina una cinquenne ben vestita che mi dice: «Ci sono [intende i gay] e bisogna conviverci, no? So che andranno in piazza, ma mi arrabbio quando i gay dicono “prima noi e poi gli altri”. Se vogliono convivere non devono dirmi che sono superiori. Se si comportano bene va bene, ma se cominciano a mettersi le piume in testa o cose così, fanno delle baracconate; o no?». Al lettore l’ardua sentenza…

Dopo due studentesse che lamentano problemi nel parlare al microfono (microfono… simbolo fallico?) passa una donna sui trent’anni favorevole alla giornata dell’orgoglio gay: «L’importante è che non ci siano i problemi che una manifestazione pone ai commercianti. Spesso si vede che una manistazione degenera, e non mi sembra giusto; ma questo non perché la facciano gli omosessuali». Le chiedo se conosce le rivendicazioni dei gay. “Penso che scendano in piazza per il conoscimento dei loro diritti» afferma. «Non credo per essere riconosciuti come gruppo di persone. Si sa da tanto tempo che esístono.»

Si avvicina poi una vecchietta: «Non me ne intendo di queste cose », una siiora: «Non ne so niente», e, ancora, due colletti bianchi: «Siamo di corsa»; due gay (modello fashion victim): “niente dichiarazioni”. Grazie!

Proseguo cercando di intervistare qualche “maschio”. Un diciottene, mano nella mano con una coetanea, si ferma e dice: «Sarà utile avere il Pride a Milano: è importante dare voce alle minoranze». Un cinquantenne, al contrario, “non sa neanche se lo fa ranno”, una signora con la borsa della spesa non ha tempo di fermarsi a discutere ma è d’accordo con i gay, mentre un signore con un borsalino da favola dice: «Se la vogliono fare basta che sia delimitata e contenuta dalla Polizia». Ma quando mai un Pride è stato violento?

Tre anziane canute a braccetto mi rispondono: «Fatela tranquillamente» la prima; «Però non fate casino!» la seconda; e «Non fate caos; a me non piace il termine “orgoglio”,: ma scusi, che orgoglio è quello di una persona che è come un’altra?» la terza. A questo punto le loro voci si sovrappongono: «I gay sono persone normali; cioè, non sono anormali, secondo me»; «E’ come se io fossi orgogliosa di essere una donna: è così, ma è normale»; «Devono avere tutti i diritti ed essere rispettati come possono rispettare me; magari capisco poco che vogliano adottare… Quello non lo capisco mica tanto: penso che un bambino abbia bisogno di due figure diverse; per crescere, dopo, ognuno sceglie… La sessualità è un affare nostro privato», «E’ così: nulla di più nulla di meno», «Non mi piacciono quelli che si esibiscono in una maniera volgare perché è molto controproducente. Una aperta e tollerante fa finta di niente, ma una che non è tanto aperta e potrebbe cominciare ad aprirsi, quando vede queste cose qui, si chiude e dice che sono tutti così.. . Invece non sono tutti così, non è vero?». Ormai sembra un comizio. Mi salutano sorridendo.

E’ da circa un’ora che discuto con i milanesi di Gay pride ed ancora non ho rilevato alcuna dichiarazione omofoba… So che le interviste “volanti” hanno un valore relativo e che sondano molto genericamente il campo, ma non mi capacito della “tolleranza” delle risposte. Forse molti fra i contrani alla manifestazione sono tra quelli ne ho contati una quarantina che sfuggono all’intervista lampo adducendo le ragioni più disparate («perdo il treno», «incomincio a lavorare», «sono di fretta», «io non lo so», «non sono di qui», «mi dài mille lire che devo prendere il tram?»). Non lo sapremo mai. Le affermazioni mi sembrano palesare, oltre alla scarsa conocenza delle rivendicazioni dei gay e alla relativa informazione data all’opinione pubblica in merito all’evento, il fastidio che la gente lamenta rispetto all’«eccesso»…

Decido di procedere con le interviste cambiando zona e raggiungo Piazzale Cadorna percorrendo alcune vie laterali. Una donna, qui, dice: «Non sapevo neanche che ci fosse il Pride. Oh, non penso male dei gay, che hanno la loro dignità e il diritto di esistere. Cosa vengano a fare qui a Milano non lo so: forse per avere più diritti… Sono persone umane che hanno diritto di rispetto come gli altri: tutto qui». Poi il “lui” di una coppia etero afferma: «Sappiamo della manifestazione e siamo d’accordo» e tre ragazzotti aggiungono: «Siamo favorevoli, nessun problema».

I presunti eterosessuali continuano a stupirmi; così: «Ognuno deve essere libero di fare quello che vuole, presumo» afferma un cinquantenne molto distinto, seguito da una coppia di ventenni «Sfileranno, per carità! e perché no?» e da un quarantenne dimesso che è d’accordo, ma che non parteciperà alla sfilata “perché non manifesta per nessuno”…

A questo punto diventerei ripetitivo se riportassi i numerosi pareri favorevoli (che giungono, nell’ordine, anche da: una mamma con passeggino, una gay pentito di non essere stato a Roma, un attempato signore, un’anziana con ba-stone, una sessantasettenne «E’ tutta questione di cultura», un signore con la ventiquattrore, un leoncavallino «Sono favorevolissimo» , una signora con gli occhiali «non mi fa né caldo né freddo» , tre settantenni, due metallari, un architetto, un ventenne meridionale, una donna «certo, ma che si divertano!» e un padre con figliole al seguito.

Degna di nota l’intervista a tre quindicenni di Vicenza, che affronto temendo l’«effetto branco». Il morettino dei tre dice: «Il Pride? Va bene, altroché!» e il rasta biondo: «Siamo tutti d’accordo: ma non verremo, abitiamo lontano», tutto questo mentre il terzo annuisce. Verranno al Pride, al contrario, due loro coetanee milanesi che affermano: «I gay? Alla mia scuola i gay sono il 100%» mentre l’altra ribatte: «Macché! Saranno il 90%!». Non mi hanno voluto dire che scuola frequentano…

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A questo punto decido di “dare la caccia” a un omofobo. Impossibile non trovarne nemmeno uno!
Incrocio un banchetto elettorale di Alleanza nazionale, Meglio di così… «Cosa ne pensate del Gay pride a Milano?» chiedo, rivolgendomi a due ragazze militanti. E loro lapidarie: «Siamo d’accordo che si tenga la manifstazione». Nei giorni scorsi Storace ha dichiarato sulle colonne di Repubblica che la Regione Lazio darà una «stretta ai diritti degli omosessuali» (e cosa potrà mai stringere?), ma qui nessuno ne sa niente…

Continuo con le interviste e registro i pareri che mi mancavano. Omofobi? Macché! Due ragazzi visibilmente etero chiosano: «Appoggerò la cosa, ci voglio andare con gli amici»; e l’amico aggiunge: «Sì, ne abbiamo parlato con Re-nato: ci vogliamo travestire da “ragazze della notte”». Ma dove sono finiti i etero di una volta? E ancora una gazza: «E’ un peccato che il Pride si faccia a Milano perché i gay sono tutti bei ragazzi». Ma per favore… !

Smetto con le interviste volanti. I minesi che ho incontrato si dichiarano vorevoli a una manifestazione tranq,illa. Se questa è l’opinione della gente, come mai i politici a Destra e a Sistra rimangono più conservatori dei vecchietti di settantínni? Il mio campione non sarà rappresentativo, cerco convincermi…

Per curiosità decido di rivolgere le stesse domande ai gay milanesi passando, sempre munito di microfono, dal Ricci Bar e dall’After Line. Il primo locale è “ad uso e consumo” della Milano gay griffata, quella che vorrebbe essere danarosa e di tendenza. Poco fuori individuo, traditi da una borsetta di una tale che si chiama Pinuccia, tre avventori tipo.

«II Pride a Milano?» chiedo. «Non ci interessa la cosa» rispondono andandosene sculettando. Nel locale mi presento a un barista, chiedendogli se posso intervistare alcuni avventori. Lui risponde, testuali parole: «Non ini interessa». Ribatto chiedendogli se è sicuro che i frequentatori del bar non siano interessati loro a rilasciarmi dichiarazioni… Quello candido risponde: «Sono sicuro che non siano interessati e non permetto di avvicinarsi ai miei clienti». Pago il caffè e me ne vado. Chi meglio di un barista conosce i suoi avventori?

Ripenso alle telecamere di Italia Uno che, qualche mese fa, intervistavano, sulla “questione gay”, alcuni clienti dello stesso locale, le cui di-chiarazioni erano irripetibili quanto a banalità. lo non mi avvicinerò mai più ad alcun «suo cliente», questo è certo… ! Fra quelle poltroncine leopardate e quell’atrio scintillante di griffes, improvvisamente mi sento un gay discriminato friendly…

Mesto mi dirigo verso la Gay street ed entro nel Next Groove, un “barettino” dove senza alcun problema mi è per-messo di intervistare i clienti gay Gianfranco, uno studente di architettura, è contrario al Pride: «Sono assolutamente contro: per me serve solo a ostentare la propria sessualità». Gli chiedo: «Ma come lottare per i diritti che noi? ci sono riconosciuti?»; mi risponde «Sicuramente non andando in piazza e facendo i cretini». Gli fa eco un suo amico, che dice: «Non sono completamente contrario; però ostentare non è il modo migliore per risolvere i problemi fra gay: figurati con le altre persone! Portare in piazza la propria normalità non sarebbe male … ».

Poi interviene Orazio che ha vent’anni: «Non sono orgoglioso di essere gay e non andrò alla manifestazione». E aggiunge: «Vivo la mia vita così com’è». Incomincio a temere che rileverò pareri contrari alla manifestazione solo fra i gay. Poi, però, un trentenne che sta sorseggiando un aperitivo mi smentisce: «Mi sembra che il Pride sia giusto; si deve fare per lottare per i nostri diritti. lo andrò in piazza e i milanesi verranno numerosi».
Esco dal locale e incrocio un morettino “domani” diciannovenne: «Sono stato al Pride di Roma. Non so se verrò a quello di Milano. Non sono dichia~ rato. Vedrai che diventerà una cosa tipo una discoteca: un casino e basta. Per i diritti dei gay non servirà… ». Disorientato più dai suoi occhi che dalla sua dichiarazione, gli chiedo il numero di telefono… scherzo! In realtà gli domando: «Che alternative proporresti?». Mi risponde: «Bisognerebbe fare tante cose per abituare le persone a vedere i gay in maniera diversa da come li vedono. Dovremmo essere una cosa che la gente vede tutti i giorni, come ad Amsterdam. Ci serve più la quotidianità che la visibilità uffficiale».
Un ragazzo straniero un po’ effeminato si ferma e aggiunge: «Penso che il Pride sia una cosa bella. Quando vado in centro con il mio ragazzo vado mano nella mano e lo bacio: non mi faccio problemi. Mi hanno sfottuto, anche se poche volte: però non mi faccio problemi. Sono orgoglioso di essere così. Ci sarà tanta gente a Milano, vedrai! »,
Poi rivolgo la domanda a un trentenne: «Sono un po’ contrario al Pride perché secondo me non serve una manifestazione per farci vedere. Non esiste una manifestazione dell’orgoglio etero. Non è giusto che ci mettiamo in risalto solo in quanto gay Il Gay pride scombussola tutto. Qualcosa sta cambiando ma non grazie al Pride. lo non ci sono mai andato; ma per curiosità ci vorrei andare».

Il tema appassiona e intorno a me si è creato un capannello di gente. Qualcuno sussurra: «Milano è tranquilla rispetto ai gay Il Pride dovremmo farlo a Varese, Sondrio o Cremona».
Discutiamo a lungo, e poi intervisto un trentenne non dichiarato, che dice: «Non sono d’accordo che si faccia. Vedere i palchi con i travestiti nudi non è il massimo: devono essere persone normali che partecipano. Se continuano a manifestare in quel modo, i gay saranno ghettizzati. A quello di Roma ci sono stato, ma a quello di Milano non vado perché è un ambiente un po’ particolare… A Roma mi fidavo di più. Però può darsi anche che… ci vado». Viva la sincerità!

Ad attendere l’apertura dell’After Line ci sono due perugini che lavorano a Milano. Il primo, venticinquenne, dice «11 Gay pride è una buona cosa: ci andrò sicuramente. Ed è utile per l’acquisizione di diritti», mentre il secondo, ventiduenne, invita alla prudenza: «Sono favorevole ma è una manifestazione troppo baraccona. Dà al mondo un’idea eccessiva dell’omosessualità, anche se gli intenti sono buoni. Potrà essere utile solo se sarà moderata». Un amico gay ventiquattrenne mi chiede, scherzando, se può rilasciare dichiarazioni “etero” e incomincia con: «Il Gay pride è una buffonata. lo i culattoni li ucciderei tutti».

Lo interrompo perché le sue parole sono troppo lontane da quelle dei presunti etero che ho incontrato nel pomeriggio…

Apre il locale e incominciano ad affluire numerosi clienti. A questo punto le dichiarazioni contrarie aumentano esponenzialmente. Un ventottenne che lavora in università dice che la marcia «è una cazzata perché l’ostentazione non porta al riconoscimento dei diritti. Non credo che sia il canale più adatto. Serve solo a confermare il cliché che le persone che non conoscono il mondo gay hanno. t una strada più negativa che positiva. lo non vi parteciperò». E al seguito un trentenne riccio di capelli: «Sono solidale con le dichiarazioni precedenti. Credo sia abbastanza inutile. Per la gente che partecipa l’atmosfera è troppo carnevalesca. Troppo “gioiosa” in maniera sbagliata. La strada da per-correre dovrà basarsi sulla normalità. Adoro le drag queen ma dovrebbero ostentare un pochino meno». Poi mi presentano un loro amico, Andrea, neolaureato in lettere, che è costretto a rispondermi, e dice: «Parteciperò, probabilmente. Ma sono abbastanza contrario a queste cose.

Ritengo più utile che quando due ragazzi stanno insie i me vadano tranquillamente fuori mano nella mano baciandosi senza problemi e poi credo che la visibilità di tale gesto sia maggiore di quella dell Gay pride e più discreta, ma più efficace e duratura nel tempo». Insisto domandandogli come ottenere diritti civili e lui con sagacia afferma: «L’unica cosa che mi sento di dire è: facciamo in modo che un nuovo “Miracolo italiano” non accada!». Concludo chiedendogli se è orgoglioso di essere gay Risponde a bruciapelo: «Non vedo motivi per esserne orgoglioso e non vedo motivo di vergognarsene».

Decido di spegnere il microfono ma una sorta di adone ventunenne attira la mia attenzione. Questo è quello che mi di ce: «Da una parte penso che sia una cosa buona, dall’altra no, perché può portare più discriminazione se sarà una manifestazione ridicola come quella di Roma! Non penso che ci andrò».

Sono stanco, spengo definitivamente il registratore ed entro all’After line a sorseggiare una birra e a chiarirmi le idee. Ho registrato molte dichiarazioni discordanti e ho rilevato che la gente comune è tendenzialmente più favorevole al Pride che i diretti interessati; ma troppi sono i pareri che mancano all’appello. Provo a riascoltare le interviste e improvvisamente intuisco di aver trascorso la giornata facendo una domanda sbagliata. Altro che Pride!

Alla “gente comune” avrei dovuto’ chiedere se sarebbe stata disposta a crescere e lottare a fianco dei gay per costruire un mondo migliore; e agli omosessuali se sarebbero disposti semplicemente a non avere paura. Secondo voi, cos’avrebbero risposto? (pubblicato in “Babilonia”, giugno 2001).

Stefano Bolognini ⋅

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