L’omosessualità nella scuola

Report dal convegno Omosessualità e compiti dell’educazione di AGEDO, l’associazione di genitori e amici di omosessuali

Agedo al Pride Bologna 2008. (Foto: AndrewRm - Wikicommons)

“Si può prevenire il disagio dei giovani omosessuali?”. “Nella scuola italiana è possibile educare al rispetto delle diversità sessuale?”. “Come cercare di rendere più serena la crescita dei giovani omosessuali in famiglia, a scuola e nelle associazioni che si rivolgono a loro?” Con queste domande Francesco Pivetta ha aperto i lavori del Convegno Omosessualità e compiti dell’educazione promosso da Agedo, l’Associazione Genitori e Amici i Omosessuali, tenutosi presso la Camera del Lavoro di Milano il 26 ottobre scorso.

Il tutto esaurito della sala, i prestigiosi relatori seduti e pronti ad intervenire e l’agognata apertura dei lavori non potevano offrire allo spettatore la misura dell’enorme successo ottenuto dall’associazione genitori che ha superato mille difficoltà per organizzare l’appuntamento.

Paola Dall’Orto, presidentessa dell’associazione genitori è raggiante e ha tutte le ragioni per esserlo: “In primavera avevamo incominciato a organizzare il convegno e avevo contattato la consigliera provinciale di Forza Italia Fontana che ha la delega all’istruzione. Volevo che Agedo potesse entrare nelle scuole superiori con il film Nessuno Uguale e le sue promesse sono state moltissime. Tra le tante anche il convegno di oggi. Dopo un certo periodo e numerosi appuntamenti con la Fontana andati a vuoto mi sono resa conto che volutamente non si presentava. Ci ha preso in giro. Se fosse stata onesta e mi avesse detto che non poteva riuscire a mantenere le sue promesse, tra cui una sala provinciale prestigiosa dove tenere il convegno a anche la data definitiva del convegno, sarebbe stato lo stesso. Abbiamo temporeggiato fidandoci delle promesse. La sorpresa l’abbiamo avuta quando abbiamo inviato il volantino che pubblicizzava il dibattito alla provincia con già stampato il patrocinio provinciale. Mi ha telefonato un certo Zaffaroni, capo di Gabinetto di Ombretta Colli, che mi ha detto che la sala non era disponibile. Gli ho detto che potevamo rimandare il convegno e lui ha detto ‘No non ho tempo e non possiamo’ e ancora assalendomi: ‘Lei come si permette di dire certe cose, le non ha in mano niente, mi mandi un fax che dichiari che ha il patrocinio della direzione scolastica regionale’ e ancora ‘né lei né la sua associazione avranno mai quella sala’. Ho pensato omofobia in pieno! Ma purtroppo avevamo solo accordi verbali ho sbagliato io. Dopo quella telefonata ho chiamato direttamente la Colli che pur affermando che non avendo nulla di scritto non potevamo avere la sala promessa ci ha dato il patrocinio della provincia e ha detto che è dalla nostra parte. Siamo rimasti comunque in braghe di tela ma siamo riusciti a organizzarci. Solo Agedo ha pagato il convegno. Ora abbiamo poco o nulla in cassa e siamo preoccupati per le iniziative future”. Lasciando al lettore il giudizio sull’ambiguità dei ‘giochetti’ politici torniamo al convegno.

In mattinata , dopo il discorso di Francesco Pivetta, ha parlato Letizia Bianchi, una insegnate di sociologia della famiglia presso l’Università di Bologna. Il suo intervento è stato a dir poco emozionante perché ha ripercorso la sua vita di ‘donna, insegnate, studiosa e lesbica’ (sono sue queste parole) dall’iniziale “infelicità allo stato puro” in cui avvertiva un profondo bisogno di “imparare a definire l’amore per le donne”. La Bianchi ha consigliato agli educatori presenti di “ridefinire il rapporto pedagogico. Se l’omosessualità è omofobia e paura noi adulti dobbiamo affrontare la nostra stesse paura solo così diventeremo bravi insegnanti”. Lei lo fa quando, ad esempio, parla a lezione di coppie di fatto omosessuali e ne è ripagata totalmente: “Quando incomincio a parlarne vedo i volti di alcuni studenti tendersi. Quando parlo anche di loro li vedo distendersi quasi come se un carico fosse in qualche modo condiviso. Nominare anche in un aula universitaria l’omosessualità fa uscire dal ghetto”.

A seguito ha parlato Don Gallo, un prete di strada di Genova, che ha invitato semplicemente “a cercare di conoscere l’omosessualità perché è motivo di crescita spirituale”. Chissà se i suoi colleghi sapranno ascoltarlo…

Poi è intervenuto il preside della facoltà di scienze dell’educazione di Genova Alessandro Dal Lago che si è limitato a stabilire che per educare alla diversità è necessario “ricostruire le idee legate alla differenza” e “in un mondo che costruisce pregiudizi è necessario sgretolarli”. Dal Lago non ha specificato come ‘sgretolare i pregiudizi’ ma lo ha aiutato in questo Roberto Del Favero, psicoterapeuta di Bologna intervenuto subito dopo, che per mostrare la sofferenza dei giovani gay ha fatto leggere a tutti i presenti in sala la lettera di un giovane che si dichiara a fratello. Il sussurro del pubblico era commuovente quando coralmente venivano lette frasi come questa: “Non mi nego più quello che sono, perché quella strada porta alla disperazione e alla morte, e non voglio più percorrerla”. Del Favero, poi, ha invitato gli insegnati a “creare strutture in grado di prevenire disagio e differenze” e a parlare nelle classi di esperienze come quella letta insieme. Secondo noi quell’invito, almeno per i presenti, avrà un seguito.

Dopo alcuni interventi del pubblico del pubblico tra cui quello di un insegnante che si vergognava perché in classe parlava troppo poco di omosessualità (e pensare che c’è chi non ne parla o ne parla molto male) e che si è dichiarata quale la madre di un omosessuale e un professore che invitava gli insegnanti ad essere anche educatori il convegno ha subito un’interruzione per la pausa pranzo.

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Nel pomeriggio ha parlato Gustavo Pietropolli Charmet, che insegna psciodinamica all’Università Statale di Milano, della ricerca dell’affettività durante il periodo dell’adolescenza insistendo sull’esistenza palese del fenomeno omosessualità di cui non conosciamo i perché ma di cui è necessario parlare.

A seguire Laura Balbo, ex Ministro per le Pari Opportunità, che ha espresso tutte le difficoltà politiche nel far accettare il discorso dell’educazione alla diversità anche alla Sinistra e la relativa impossibilità di farlo con la destra.

Poi ancora ha parlato Cristina Beffa, giornalista e coordinatrice redazionale di Famiglia Oggi, dell’urgenza del riconoscimento delle differenze e Paola Dall’Orto Agedo che ha raccontato l’approccio di un genitore, che è anche educatore, all’omosessualità del figlio. Inizialmente ha detto che “il sentimento più comune è la sofferenza nata dalla previsione che un mondo discriminante li isolerà, procurerà loro infinite difficoltà nella scuola, sul lavoro, nella società in generale, immaginando, al massimo, atteggiamenti di tolleranza verso di loro”. Questa fase, secondo la Dall’Orto, si supera quando il genitore “incomincia a prenderne atto, deve vagliare tutte le precedenti informazioni sull’omosessualità, spesso discordanti e quasi sempre negative. Non è facile, soprattutto per chi non è più giovane e che si è costruito una propria sicurezza, magari proprio sui pregiudizi, buttare improvvisamente tutto all’aria e rinascere nuovo. Occorrerà un’enorme dose di amore, ma anche un’ altrettanta dose di razionalità”. Non sempre, purtroppo, il processo è così lineare e sovente si registrano manifestazioni di rifiuto che si potranno vincere solo educando.

A fine giornata le conclusioni sono state affidate a Francesco Pivetta che ha invitato gli insegnanti a “prediligere l’educazione sentimentale di cui si è perso la memoria, una educazione che permetta di riconoscere, attraverso le personali esperienze, uniche e imprescindibili, le molteplici diversità, prima di tutte le proprie, con cui si è entrati in contatto”.

Poi è stato riaperto il dibattito. Valga per tutti gli interventi ascoltati quello di una suora che ha chiesto di alzare le mani a tutti gli insegnanti presenti in sala. Poche mani si sono alzate anche perché era tardi e molti se ne erano già andati. La suora ha detto lapidaria: “Mi dispiace molto perché qui doveva essere presente tutta la realtà scolastica”.

E pensare che Agedo aveva invitato anche i dirigenti degli scout… Chiaramente non hanno partecipato, ma anche se non sono scusabili, è stata ben peggiore la diserzione immotivata dal convegno di Arcigay Nazionale. Peccato per loro che comunque potranno recuperare dato che a breve è prevista la pubblicazione, a carico di Agedo naturalmente, degli atti di questo convegno nei quali saranno presentati tutti gli interventi.

Ma non è finita qui. Agedo che ha offerto un appuntamento culturale di ottimo livello ma soprattutto utile a chi lavora con i giovani che ancora oggi soffrono troppo lo stigma sociale si è vista attaccata senza pietà da una lettera, di un anonimo Pido, diretta a Paola Dall’Orto e pubblicata sul sito Gay.it.

La lettera dice: “Che pena, che schifo, vergognatevi!. Io come gay mi sento preso in giro! Perché noi come gay dobbiamo sempre giustificare il perché e il percome di una cosa normalissima e spontanea e dobbiamo sempre essere solo noi a capire l’imbarazzo degli altri? No mi dispiace come gay mi sento discriminato da voi! Mi aspetto che organizziate dibattiti per ricattare e provocare rotture con il mondo politico che ci prende in giro da anni. E invece fate da valletti per raccogliere i soliti quattro voti”. Sarà, ma come mai coloro che si offrono e ‘lavorano come cani’ (sono parole di Paola Dall’Orto) e che sono lontani mille miglia dalla politica riescono sono sempre al centro delle sterili polemiche di chi al convegno non è nemmeno venuto.

Il 16 dicembre presso la libreria Babele Agedo raccoglierà fondi per le attività future. Noi ci saremo e voi? (Pubblicato in “Pride”, dicembre 2001, pp. 37-38)

Stefano Bolognini ⋅

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