Alla ricerca di un gay team

Il nuotatore gay Mattew Mitcham (foto: Philip Myers-Wikicommons)

di Paolo Hutter e Stefano Bolognini
Lancio della borsette e cento metri con i tacchi a spillo: le “Sodomiadi”, uno spettacolo comico organizzato per festeggiare le olimpiadi del 1985 dai militanti gay bolognesi, sono ormai un lontano e glitterato ricordo.
Sportivi omosessuali e lesbiche sono oggi organizzati in associazioni, frequentano partecipati tornei nazionali ed internazionali con sponsorizzazioni di tutto rispetto, e vincono medaglie. Un business, almeno per i gay games statunitensi, da più di 13 milioni di dollari.

Con il successo gli atleti arcobaleno (arcobaleno è la bandiera della comunità gay che campeggia orgogliosamente in tutti gli eventi), non hanno dimenticato la cultura di rottura e il clima di ironica creatività con il quale hanno lanciato, con Stonewall il primo gay pride della storia che risale al 1969, la grande sfida dell’accettazione.
Così gli omosessuali, insieme a discipline seriosamente ufficiali, si sono anche dotati di inedite discipline all’insegna delle pari opportunità come il nuoto sincronizzato maschile insieme al ballo a due tra coppie dello stesso sesso.
Sembrano promettenti anche westrling, skateboard e culturismo discipline che non riscuotono ancora il consenso dei regolamenti olimpionici, ma hanno numerosi fans, per aspetti alle volte più estetici che sportivi, tra i gay.

Nei tornei gay concorrono ufficialmente persone di tutte le età (le sfide tra ultra-sessantenni sono molto seguite e applaudite), e di qualsiasi orientamento, in forma o meno, lo spirito è – come voleva Tom Waddell, atleta di decathlon ideatore dei Gay games le olimpiadi gay che si tengono ogni quattro anni dal 1982 – partecipare, divertirsi e mostrare che l’orientamento sessuale è indifferente nella pratica sportiva e nella vita.
Waddell, omosessuale visibile dal 1976 e sesto alle Olimpiadi messicane del ’68 nel dechatlon, riteneva che lo sport non fosse accogliente per la diversità.

Da qui l’idea di competizioni non discriminatorie sia rispetto all’orientamento, ma anche all’età e all’handicap: “Lo scopo della Federazione dei giochi gay – dichiarava – è incoraggiare ed aumentare l’autostima di omosessuali e lesbiche di tutto il mondo e promuoverne il rispetto”.
Gli intenti antidiscriminatori sono espliciti: all’edizione dei giochi australiani, del 2002, insieme a 13 mila atleti di ottanta paesi, hanno partecipato, commuovendo il Mondo, atleti gay visibili di Iraq, Pakistan, ed Emirati arabi, paesi nei quali è in vigore la pena di morte per gli omosessuali.

La strada da Wadden in poi era segnata. Gruppi e gruppuscoli di sportivi appassionati, nelle più disparate discipline, si sono organizzati per allenarsi per l’appuntamento quadriennale.

Disciplina dopo disciplina la comunità gay ha conquistato spazi: i GayGames, a cui si sono affiancati di recente gli Out games più eurocentrici, restano l’appuntamento clou, ma anche a livello continantale (ci sono euro gay games per ogni disciplina) nazionale e provinciale le gare si fanno sempre meno rare, e team gay si scontrano tra loro e con team dall’orientamento indifferente. Lo scontro ha prevedibili elementi di rottura come ha sottolineato anche il cinema con il brillante Summerstorm, una squadra di adolescenti canoisti etero affronta e si confronta, nel corso di un campeggio estivo, con una squadra gay (e una squadra di cattolici integralisti). Il leader degli etero, innamorato del compagno di remi, finirà con difficoltà ed orgoglio per uscire allo scoperto. Guys and balls, racconta, il desiderio di rivincita di un omosessuale cacciato dalla squadra di calcio del suo paese che decide di fondare un team arcobaleno. Anche il padre, fieramente omofobo, finirà per tifare per la rosa gay. Entrambi i film non sono né tradotti né distribuiti in Italia.
Lo sport gay organizzato ha avuto un innegabile impulso anche dal, sempre più frequente, coming out di sportivi affermati che si dichiarano o si lasciano definire omosessuali.

Già alle Olimpiadi di Sydney del 2000 gli atleti gay formavano un team vincente con Amélie Mauresmo e Conchita Martinez, due reginette del tennis, Mia Hundvin e Camilla Andersen, nella pallamano addirittura sposate in Danimarca, ma una contro l’altra in finale, l’australiana Lisa Marie Vizaniari nel lancio del disco, il tuffatore usa David Pitchler e Robert Dover nelle gare equestri, entrambe capitani delle proprie squadre. Ma non sono i soli.
Martina Navratilova e Bille Jean King, hanno conquistando il grande pubblico del tennis come atlete, prima, e poi uscendo allo scoperto. Sheryl Swoopes, leggenda del basket femminile, tre volte oro olimpico una linea di scarpe Nike a suo nome, (ha anche militato brevemente nel Pasta Ambra una squadra di Taranto) è uscita allo scoperto nel 2005: “Sono un personaggio pubblico, non aveva più senso continuare a negare l’evidenza” . Ma ce ne sono, davvero numerose, anche in hokey, football, golf e… boxe.

Tante donne e pochi uomini?
Sono stati olimpionici il tuffatore Greg Luganis, e i nuotatori Mark Tewksbury e Bruce Heyes, tutti gay dichiarati, ma solo dopo le vittorie olimpiche.
Dave Kopay, ex giocatore di football ha aperto ai maschietti la strada nel lontano 1975, “molto tempo ho sentito la sensazione di essere l’unico giocatore di football gay che ci fosse in giro. Provo rimpianto, ma anche un senso di libertà e di sollievo che il mondo stia finalmente cambiando”, dichiarava a commento del recente coming out di Esera Tuaolo, ex-giocatore dei Vikings.

A Kopay purtroppo la rivelazione costò la carriera e non a caso alcuni, come il giocatore di baseball Bill Bean dei Tigers e dei Dodgers, si dichiarano una volta abbandonato lo sport raccontando storie agghiaccianti: Bean dovette giocare il giorno dopo la morte del partner in un incidente, nessuno doveva sapere.

Ultimo al debutto pubblico è l’alpinista francese Marc Batard, primo a raggiungere la cima dell’Everest senza ossigeno, che affida alla sua biografia Confessioni intime di un alpinista estremo, il suo coming out sofferto, inadeguatezza e complessi sono compensati da escursioni di decine di chilometri e gli forniscono un’identità, un’omosessualità negata fino a quarant’anni e da spiegare ai figli, ma una conclusione in discesa: “La cosa cui tengo davvero è far sapere a tutti che finalmente sono me stesso, e che sono felice”. Decine di atleti gay, al contrario, scelgono il silenzio: matrimoni di copertura, fidanzate a contratto, isolamento e terrore di essere scoperti.

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Dave Pallone, licenziato nel 1988 come allenatore di una squadra di baseball perché gay racconta nell’autobiografia Behind the mask la doppia vita degli atleti gay, strada oscura scelta sicuramente da tutti gli sportivi professionisti italiani: di dichiarati non c’è nemmeno l’ombra, ma solo l’eco di tanti “forse”, relegato al gossip.

Dal calcio e dal rugby italiano si è sviluppata addirittura una corrente negazionista. Gianni Rivera dichiarava “Ogni volta che sento parlare di omosessuali nel calcio mi stupisco. Mi sembra strano che scelgano un gioco così maschio, dai contrasti così decisi” di concerto con l’allenatore Gigi Simoni, allenatore: “Forse l’aggressività, la determinazione, la grinta richieste da questo sport non si sposano con le caratteristiche degli omosessuali. Nel calcio femminile, invece ho sentito che il fenomeno è più diffuso”. Eppure si è dichiarato l’olandese Dominique van Dijk e il pugile Emile Griffith che a mascolinità…

Il Rugby, è comunque d’accordo con il calcio. Il calendario-caso-editoriale Le dieux du stade, che ritrae rugbisti francesi in costume adamitico e gioca sull’omoerotismo esplicito, non piace al capitano della nostra nazionale, Marco Bortolami: “Sono contrario al fatto che il rugby venga associato a queste cose… Non ho mai sentito di colleghi gay, comunque anche questo ci fa capire quanto il modo di trattare il rugby in Italia sia ancora immaturo”. Un ex-azzurro, Andrea De Rossi, sdrammatizza: “Siamo nel 2007, suvvia. Io di rugbisty gay non ne ho incontrati, anche se qualche voce circola”.

Mentre la dichiarazione dei gay presenti nello sport professionistico nicchia, ferve nel nostro Paese l’attività dei gruppi sportivi gay, che oltre ad allenarsi partecipano ai tornei internazionali e… vincono medaglie.
E’ una forma di socializzazione evoluta, che da la visibilità per scontata, e che integra il bisogno di relazionarsi di numerosi omosessuali italiani che cercano altro oltre a locali e discoteche.
Nuotatori e pallavolisti sono la presenza più nutrita e fanno sul serio.

I primi, il Gruppo Pesce, un’associazione sportiva affiliata alla Lega Nuoto UISP e alla Federazione Italiana Nuoto, va forte, bracciata dopo bracciata, nel nord Italia e nel Lazio, con più di duecento iscritti.
I pesci hanno organizzato, nell’aprile scorso a Roma, Aqua Romae 2007, il primo torneo internazionale GLBT di nuoto in Italia: bandiere arcobaleno, 150 atleti provenienti da paesi europei, dagli USA e dall’Australia e tanta voglia di gareggiare in una tre giorni ospitata dalla piscina del “Foro Italico”.

Dopo le gare gli sportivi hanno animato la movida gay romana con feste in costume (non adamitico) in discoteca all’insegna della battaglia contro il pregiudizio e a favore della diversità.
“Realizzare un torneo di nuoto internazionale, che ha avuto il patrocinio di comune, provincia, Regione edel Ministro Melandri – ci racconta Paolo Sordini, del gruppo pesce Roma – è stato realizzare un sogno.
Mi ha commosso fino alle lacrime entrare nella piscina del Foro Italico: è voluto da Mussolini, ci ho nuotato da bambino ed è l’impianto ufficiale della Federazione italiana nuoto. L’enorme bandiera arcobaleno faceva impressione e pure i giudici, i risultati delle gare sono ufficiali, si sono divertiti, c’era colore, musica e voglia tanta di divertirsi.
Lo sport supera barriere, ostacoli e offre modelli positivi, non per niente nell’antichità con le Olimpiadi si fermavano le guerre. Il nostro è confronto-incontro ad armi pari, ed è pulito, senza interessi economici, sport nel senso puro del termine.

Se penso che quando abbiamo fondato il gruppo, nel 2000, solo a chiedere di frequentare una piscina era un problema, in una ci dissero che eravamo pericolosi, avremmo potuto spaventare i bambini, in un altra, con nuotatori professionisti, ci si guardava in cagnesco. Poi lo sport ci ha uniti, etero e gay, tutti con la voglia di migliorare le proprie prestazioni, e con la voglia di stare insieme e sostenerci l’un l’altro, in un percorso di crescita, e di visibilità”.
Per la pallavolo da molte soddisfazioni ‘RoMan Volley’ che, nel luglio scorso, ha vinto l’oro ai Gay Eurogames di Anversa, ma non ha una palestra stabile dove potersi allenare. Amministratori e politici tacciono. Ma sono davvero molte le squadre operative sul territorio nazionale.

Niente tacchi a spillo, ma solo tacchetti, anche il calcio gay italiano è realtà. La Nuova Kaos Milano è un gruppo vario e ben assortito di giocatori, amici e simpatizzanti, sia gay che etero, è appena rientrata dai Mondiali di Calcio Gay di Buenos Aires, 28 squadre e 480 giocatori in campo contro la discriminazione tutto organizzato dalla Fifa gay, l’Iglfa, International Gay and Lesbian Football Association.

Per la cronaca la squadra vincitrice è “Argentina Los Dogos” che ha battuto di misura gli inglesi dello “Stonewall”, nome che ricorda il primo gay pride del 1969. Il sito dell’Iglfa, l’associazione mondiale di calcio per gay e lesbiche, ha una dimensione internazionale impensabile. C’è una squadra in Cina, una in Cile, gioca tutta Europa occidentale e il Nord America.

Torniamo in Italia con il trekking e il gruppo Gay e Geo, passeggiate ma non troppo impegnative, i motociclisti gay che organizzano moto-raduni ed aprono rombando i gay pride, i tennisti, gli sciatori, i ballerni, ancora non competitivi, ma che hanno portato in Italia i Gay Gordons, un gruppo di danza folkloristica scozzese… gay…
Negli ultimi due anni o gruppi italiani sono sempre più visibili e organizzati tanto che Arcigay, la maggior associazione gay italiana, si è dotata di un “ministero” per lo sport che insiste: “Si portino i giochi gay in Italia”. La sfida è lanciata. (pubblicato originariamente in “D La Repubblica delle donne”, 3 novembre 2007, in questa sede è pubblicata la versione originale e più ampia dell’articolo).

Stefano Bolognini ⋅

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