Aggressione: la denuncia impossibile

Insulti, minacce di morte, botte e un’odissea per denunciare l’accaduto. La vittima ha deciso di rendere pubblica la vicenda.

Jorg S., tedesco di 26 anni, passeggia, l’8 gennaio 2007, nella centralissima via Torino a Milano in pieno giorno quando incrocia lo sguardo di un passante. Succede il finimondo.

Tutto incomincia a due passi dal Duomo…

Ero in centro, vicino a me camminava una persona in compagnia di due donne, e i nostri sguardi si sono incrociati per un istante. Lui ha reagito con una espressione mimica molto aggressiva. Gli ho chiesto “che c’è”. Ha ribattuto “come che c’è? Non guardarmi”. Non le mando a dire, ho risposto: “Guardo chi voglio e poi sei tu quello che ha guardato per primo…”.

Oddio, hai cercato la rissa?

Non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno, ma tutto sarebbe finito lì se non mi avesse apostrofato con un sonoro “Frocio di merda ti do due schiaffi”. Ho deciso immediatamente di chiamare la polizia. Ero stato insultato, “frocio di merda” è una espressione che la Corte di Cassazione ha punito come reato. L’uomo si è accorto che parlavo con le forze dell’ordine e si è scaldato ulteriormente. Mi ha urlato: “brutto frocio di merda ti ammazzo”.

Aveva incontrato l’omosessuale sbagliato…

Lui mi insultava e minacciava le due donne che lo accompagnavano cercavano di calmarlo, io urlavo “voglio giustizia”, si era fatto un capannello di gente intorno a noi. Alcuni lo trattenevano, dava in escandescenze. Si è liberato e mi ha preso a calci e pugni. Era un incubo ed era assurdo. Sono finito a terra…

Cosa ti ha detto il 113?

Mi è rimasto impresso particolarmente il fatto che abbiano chiesto “chi parla. Lei è un uomo o una donna?”, e poi “dove si trova” e “cosa accade”.

A questo punto l’aggressore si è dileguato e tu hai fatto una inutile denuncia contro ignoti.

Macché, si è allontanato, ma mi sono rialzato nonostante i dolori e l’ho seguito fino in un bar, dove tentava di nascondersi.
Fortuna vuole che ci fossero due finanzieri che prendevano un caffè ai quali ho esposto il caso. Lo hanno fermato e hanno preso gli estremi dei nostri documenti. Lui riteneva che l’avessi provocato e voleva denunciarmi, ma ti pare?

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Dire per strada ad una persona “che c’è?” non è reato.

Assolutamente, ma anche se lo avessi provocato non è mai giustificabile un aggressione né fisica né verbale.

Sei poi finito in ospedale.

I finanziari hanno chiamato l’ambulanza, mi doleva tutto: 12 giorni di prognosi per trauma cranico e contusioni multiple.

A questo punto decidi di denunciare.

Sì torno a Roma, città nella quale vivo, scrivo il testo della denuncia e mi presento al commissariato di polizia di via Farini. Per “problemi”, così mi hanno detto, non potevano accettare la denuncia e mi suggerivano di tornare un altro giorno. Non ho insistito anche se so che è il loro dovere accettare una denuncia in qualsiasi momento.

Hanno specificato i “problemi”?

No, hanno detto “problemi”, ma solo dopo aver letto il testo della denuncia. Se me l’avessero detto subito…
Sono andato alla Polizia alla Stazione Termini. Hanno letto il testo molto velocemente e sono stati lapidari: “non è di nostra competenza”. Non mi andava di litigare, ci sono tanti commissariati di polizia, sono andato a quello di via Marsala.
L’agente, dopo una lettura sommaria, ha detto: “La denuncia è da riscrivere, al posto di “al commissariato di polizia” dovevi scrivere “al posto di polizia”, e poi in romanaccio: “ao ma che t’a fatto questooo, t’à minacciato, ma daaaiii”.

Insomma hai denunciato a no?

Sì al quarto tentativo e dopo aver ascoltato anche il suggerimento di denunciare ai carabinieri.
Ho il verbale tra le mani che dice tra le righe: “È presente il nominato in oggetto, la quale presenta e consegna la denuncia querela”. Ancora: “viene sottoscritta dall’interessata”. Intende persona interessata forse?
Spero di sì, però questi due errori fanno pensare.

Cosa chiederai in sede di processo?

Chiedo semplicemente giustizia… fatti come questi sono assolutamente intollerabili e vanno puniti a norma di legge. (pubblicato in “Pride”, marzo 2007).

Stefano Bolognini ⋅

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