Ha diffamato Aldo Busi: sacerdote condannato

Lo scrittore Aldo BusiIl tribunale di Milano ha condannato don Leonardo Zega, ex direttore del periodico “Famiglia Cristiana“, a un milione di multa per diffamazione nei confronti di Aldo Busi.

Nel novembre 1997 il sacerdote dichiarò a «Il Corriere della Sera»: «Sono molto critico sull’opportunità di aver intervistato in una trasmissione televisiva [Moby Dick] su questo problema proprio Aldo Busi, che della pedofilia è un noto predicatore e sostenitore». Il conosciuto scrittore denunciò sia il prete che il direttore del quotidiano milanese per diffamazione.

Le solite lungaggini hanno fatto sì che la prima udienza del processo si tenesse il 30 giugno di quest’anno [vedi Babilonia di settembre] e si concludesse con l’assurda richiesta del Pubblico Ministero Luigi Orsi di assoluzione per entrambi gli imputati e con l’aggiornamento dei lavori ai primi di ottobre.

Il 23 ottobre scorso il giudice unico della seconda sezione del tribunale Penale di Milano Gabriella Morfin ha accolto parzialmente le conclusioni dell’avvocato di Busi, Danilo Zucchiatti, condannando ad un milione di multa Don Zega e assolvendo, con formula piena, il direttore de «Il Corriere della Sera» Ferruccio De Bortoli. In separata sede sarà inoltre quantificato il danno morale che spetta allo scrittore, che aveva richiesto due miliardi di lire.

L’avvocato di Busi, invitando a non dimenticare che «il processo è e deve rimanere uno strumento di giustizia, e non di vendetta» esprime legittima soddisfazione, «non legata in alcun modo alla figura del condannato», per la difficile vittoria ottenuta. La maggior difficoltà stava nella contrapposizione tra la il sacerdote querelato e il querelante ritenuto da molti “scomodo” «per la sua diversità dal pensiero comune». Tale contrapposizione poteva «privarci di una proclamazione di principio elementare quanto importante» quello del «diritto di non vedere la propria personalità e la propria reputazione offese da affermazioni che non corrispondono a verità ed appaiono idonee a screditarle».

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Questo diritto lapalissiano sembra essere, sempre secondo l’avvocato, «evidentemente da molti non condiviso, visto che anche il rappresentante della Pubblica accusa aveva richiesto il proscioglimento di don Zega per le affermazioni sopra riferite».

Nonostante ciò la sentenza del tribunale di Milano ha doverosamente confermato che «qualunque persona, quale che sia il suo credo o la sua scelta di vita, ha il diritto di non vedere la propria personalità e la propria reputazione offese da affermazioni che non corrispondono a verità ed appaiono idonee a screditarla».

Zucchiatti aggiunge che il «rispetto per la altrui persona e personalità è doveroso, e lo è da parte di tutti, prima ancora che per l’obbligo posto in tal senso dalla norma penale […] per il semplice fatto che su esso si fonda e cementa il principio della uguaglianza degli uomini, e della comune volontà di progresso verso un mondo migliore, che deve allontanarsi il più possibile dalle oscure ombre del pregiudizio e della discriminazione».

Busi, ricordando i numerosi processi in cui ha ottenuto una sentenza favorevole, dice: «Hanno cercato in tutti i modi di trovarmi scheletri negli armadi. Non ho armadi!» e aggiunge che farà ricorso contro De Bortoli.

Di questo caso, stupisce oltre alla sentenza favorevole allo scrittore, lo “strano” silenzio da parte degli organi della stampa che si sono limitati a brevissimi accenni alla questione. Eppure la lotta alla pedofilia, soprattutto in accezione allarmistica, è oggi tra i cavalli di battaglia di parte del clero. Forse che l’anatema errato di Don Zega non faccia notizia?(pubblicato in “Babilonia”, dicembre 2000)

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