Omosessuali curatevi

Psichiatri che “cambiano” l’orientamento sessuale dei pazienti, gay invitati ad avere rapporti forzati con donne, terapie a base d’ormoni… Viaggio nei deliri curativi antigay.

Da Gay.it, 31 agosto 2003 – Se non l’avete mai sentito dire “Omosessuali curatevi!” oppure “È stata trovata una cura per l’omosessualità” siete un’eccezione. Di regola i due ritornelli riappaiono sulla stampa o negli studi di insigni scienziati almeno una, se di non più, volte nel corso dell’anno.

È accaduto molto recentemente il 30 gennaio scorso su Il Foglio. Ne ha dato notizia, ironicamente, Daniele Scalise: “un signore che negli Usa fa lo psicoterapeuta e che risponde al nome di Peter Rudegeair si è recato in trasferta nel continente australiano finanziato dalla Chiesa cattolica locale, portatore di una pessima oltre che ridicola novella: i gay si possono curare e io vi dico come. Rudegeair è di quelli che sono convinti che l’omosessualità sia […] un disordine del carattere da trattare come l’epilessia, la cleptomania, la paranoia”.

Mesi prima, nel maggio 2001, il “Corriere della Sera” titolava un pezzo con il classico “L’omosessualità si può curare”. Che novità…

Alessandra Farkas, la redattrice dell’articolo, dice: “Spitzer, docente di psichiatria presso la prestigiosissima Columbia University di New York. […] ha annunciato i risultati della sua ricerca ieri, durante un convegno dell’Associazione psichiatrica americana a New Orleans, ha spiegato di aver intervistato al telefono un campione di 200 ex omosessuali – 143 uomini e 57 donne – che hanno cercato, con successo, di «guarire», attraverso «cure» psichiatriche o psicoterapeutiche. «Il 66% degli uomini e il 44 delle donne hanno raggiunto una buona funzionalità eterosessuale, oltre ad una soddisfacente nuova identità sessuale – ha spiegato Spitzer -, ciò dimostra che per un gay che lo voglia, è possibile cambiare”. E questi sono soltanto due casi esemplificativi…

Il dibattito veicolato dalla stampa si avverte prepotentemente nelle vita degli omosessuali. Così Pasquale Quaranta, un giovanissimo giornalista e militante gay di Salerno, è stato preso in disparte, due mesi orsono, dal proprio medico generico pronto a consigliargli una cura: “notando le movenze mie particolarmente dolci e gentili… Mi ha detto che ne voleva parlare con i miei, e che potevamo contare sull’aiuto di uno psicologo, consigliandomi inoltre un trattamento di testosterone [Fonte: “Pride”, luglio 2003, ndr.]”. Un altro collaboratore della rivista, Andrea Gabrielli, confessando ad un sacerdote la propria omosessualità ha ricevuto il medesimo invito. “In America c’era una volta una conferenza di uno psicologo americano specializzato in queste cose, che ha assistito trecento omosessuali che hanno lasciato l’omosessualità e hanno scoperto che non stavano bene e non erano felici di quella situazione. Lui li aiutava a recuperare, in un certo modo, e tornare alla vita religiosa in un pieno contatto con Dio, attraverso i sacramenti. Alcuni potevano anche sposarsi dopo la terapia, ma non tutti: metà e metà”.

Non si calcolano poi i tentativi giornalieri di seducenti donne eterosessuali di condurre sulla ‘retta via’ gli omosessuali. Come? Ma naturalmente con una buona dose di sesso etero. Chi non ha ricevuto proposte in tal senso scagli la prima pietra…

È evidente che sul dibattito regna la confusione totale. Non è chiaro né se la cura dell’omosessualità funzioni né quale sia il trattamento più idoneo per la conversione di un omosessuale in eterosessuale. Ciò più stupisce di più è che questo dibattito non si è evoluto storicamente e ciò che è spacciato come l’ultima novità nel campo della medicina risulta essere una teoria priva di dignità scientifica e già proposta decenni fa. Facciamo un rapido excursus proponendo tra le numerose proposte quelle più celebri.

“Il sesso con una donna può convertire un omosessuale”. Lo sosteneva, tra i tanti, nel 1878, ripeto 1878 il famoso igienista italiano Paolo Mantegazza in Igiene dell’Amore. A coloro che “sono accostumati a praticare il coito in guisa non naturale” proponeva una cura notturna «con donne esperte, finché abbiano l’erezione naturalmente». Più nello specifico il rimedio alla patologia sarebbe: “una lunga e sapiente educazione del cuore e nel mondo femminile vadano [gli omosessuali, ndr.] rintracciando quella figlia di Eva che potrà guarirli. E se non riescono nelle ricerche, si accontentino di sfruttare nelle olimpiche gioie della castità quella energia, che gli altri uomini spendono delle battaglie d’amore”. Mantegazza ebbe tra i discepoli Gino Olivari, un ingegnere che scrisse alcuni testi sull’omosessualità. Per Olivari, nel testo Omosessualità del 1958, il gay dovrebbe “richiamare vivamente il suo interesse su quegli elementi somatici che presentano dei punti di transizione fra il maschio e la femmina. Si richiami, per esempio, la sua attenzione sul tipo di donna dai seni e dai fianchi poco marcati, in modo che egli riesca a ravvisarsi l’equivalente somatico del maschio. E, ancora, si richiami il suo interesse sulla analogia esistente fra apparato genitale maschile e apparato genitale femminile”. I tempi di questa terapia sarebbero molto lunghi! Ma questa terapia funziona? Vi do la mia parola che non funziona: provare per credere.

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“L’omosessualità si può curare con gli ormoni”. Fu tra gli anni venti e gli anni sessanta del novecento che questa terapia vide tra i più terribili tentativi, insieme a quelli chirurgici che vedremo poi, di cura degli omosessuali. Karl Peter Vaernet, un medico tedesco specializzato in endocrinologia (la materia che studia gli effetti degli ormoni sull’organismo) affermava l’omosessualità dipendesse da un deficit di testosterone. Nel 1942 passò dalle parole ai fatti e brevettò un tubo metallico da impiantare nel corpo del paziente che avrebbe rilasciato testosterone per un anno o due. Anche l’Italia ebbe il suo Vaernet. Si chiamava Nicola Pende ed impiantò pastiglie di ormoni di scimmia tra l’ombelico e il pube del povero Giò Stajano, uno tra i primi omosessuali italiani a dichiararsi. Giò ricorda con fastidio che la terapia lo fece solo diventare più peloso di prima…gli orsi sono così avvisati… La terapia ormonale è stata abbandonata perché non dava i risultati sperati ma è prevedibile che qualche medico folle tornerà, prima o poi, a proporla.

“L’omosessualità è curabile chirurgicamente”. Knud Sand un medico tedesco che operò durante il nazismo era assolutamente convinto che l’omosessualità fosse una “malattia guaribile” con il trapianto di testicoli umani sani, si lega eterosessuali, negli omosessuali. Anche Adler, nel 1945 in Il Problema dei sesso, è della stessa idea. Un innesto di estratti d’organi del sesso dominante possono “esaltare il sesso stesso”. Lettore dove preferiresti farti innestare un testicolo altrui? Oppure potrebbe bastare solo un prepuzio? Bando agli scherzi queste terapie furono effettivamente sperimentate sull’uomo.

In linea con le terapie chirurgiche anche la proposta di castrazione degli omosessuali e la lobotomia. Quest’ultima sostenuta, tra gli altri, da Kjeld Vaernet, neurochirurgo e figlio dell’endocrinologo Karl Peter ebbe adepti fino agli anni settanta. Ad un convegno cattolico sulla sessualità del 1972, tenutosi in Italia si valutò anche la cura “Reder” che consisteva “nel produrre una lesione in quella zona del cervello che si chiama nucleo ventricolare mediale” in parole povere una lobotomia leggera. Tutte queste tecniche non hanno prodotto risultati apprezzabili se non sofferenze immani per gli omosessuali.

“La terapia dei riflessi condizionati curerebbe l’omosessualità”. Allo stesso convegno del 1972 ‘l’insigne’ psichiatra inglese Philip Feldmann propose la ‘terapia d’avversione’.

“Si proietta una diapositiva di un uomo nudo visto di spalle davanti ad un omosessuale. Se questi indugia più di otto secondi ad ammirarla riceve una scossa, un piccolo choc, attraverso gli elettrodi applicati ai polpastrelli. Poi la diapositiva dell’uomo scompare sostituita da quella di una bella donna anch’essa nuda. In questo caso l’omosessuale non riceva alcuna scossa.”. Il “senso del dolore” a detta dello psichiatra avrebbe riconvertito il “senso del piacere” verso una sessualità normale. Anche qui dolore e sofferenza per i gay in un’inefficace un’evoluzione tecnologica della teoria fallimentare proposta da Mantegazza a fine ottocento.

“L’autoipnosi curerebbe l’omosessualità”. Tra le terapie questa è quella più fantasiosa. Proposta e riproposta da fine ottocento in poi eccola brevemente esposta con le parole di Frank Caprio in La vera felicità sessuale nel 1972. “Molti omosessuali e pseudo-omosessuali (persone che pensano di avere inclinaziooni omosessuali) possono imparare a risolvere i loro conflitti sessuali e a raggiungere la soddisfazione sessuale grazie alla autoipnosi”. Lo stesso anno al convegno sopra citato Jefferson Gonzaga sosteneva che una serie di trattamenti ipnotici, che potevano durare anche dieci anni, seguiti dall’incontro con una bella donna compiacente poteva cambiare gusti dei gay. Qualcuno mi ha chiesto di fornirgli un metodo sicuro per ipnotizzare tutti gli eterosessuali carini che conosce e renderli gay… ma entrambe le conversioni paiono non avere effetto.

“Castità e preghiera curerebbero l’omosessuale”. È evidente che fare scempio dei propri istinti con la castità non sia una cura all’omosessualità ma una forzatura. La Chiesa cattolica continua comunque pubblicare scritti nei quali afferma che l’omosessualità è curabile come nel testo Cura pastorale delle persone omosessuali. È una proposta a cui siete invitati a credere per fede ma razionalmente per nulla efficace.

“La psicologia è la chiave per curare l’omosessualità”. Non è possibile proporre in questa sede le tutti i trattamenti proposti dalla psicologia (dalla terapia di gruppo, psicanalisi dalla seconda metà dell’ottocento in poi) per curare i gay. Nel 1974 l’Associazione Psichiatrica Americana (APA) eliminò dalla terza edizione del suo manuale, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Diseases (DSM-III), che è l’elenco delle malattie psicologiche e psichiatriche, l’omosessualità. Un simposio di psichiatri stabilì a maggioranza che l’omosessualità in sé non era più da considerarsi una “malattia”. Coloro che non sono in accordo con la cancellazione sono poi quegli individui, di cui la stampa discute, che propongono una cura psicologica dell’omosessualità. Ma se una malattia non esiste è idiota cercarne una cura. Dall’altra parte quando vengono analizzati i risultati di questi ‘guaritori’ sovente ci si accorge che sono fallimentari e ad oggi, fortunatamente, non esiste una cura all’omosessualità. Un omosessuale portava un cartello al convegno del 1972 di cui ho detto. Diceva “Psichiatri adesso vi curiamo noi”. Valga per tutti coloro che ci vogliono cambiare: devono essere curati dall’omofobia e l’unica terapia è l’informazione.

Qualvolta la stupidità si può vincere. Basta volerlo.

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