Siamo davvero il “terzo sesso”

Una scena di The Rocky horro picture show

«Ma esiste il terzo sesso?» così titolava un articolo datato luglio 1999 pubblicato dalla rivista «Medicina e Morale» dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Ora, scovare uno studio sull’omosessualità in Italia è di per sé fonte di stupore. Il fatto che sia pubblicato da una rivista universitaria ne accresce l’interesse, inoltre, un titolo che richiama al «terzo sesso» sembra avere tutte le caratteristiche per apportare un vento di novità nella discussione (che langue in ambito accademico) sul tema.

Quali, allora, le tesi di D’Onofrio, De Fantis e Cravero, del dipartimento di gerontologia, geriatria e malattie del metabolismo della Facoltà di Chirurgia e Medicina della II università degli studi di Napoli firmatari del pezzo?

Lo scritto inizialmente appare equilibrato. Afferma che “si tratta di argomenti ancora oggi molto dibattuti e la cui soluzione è ancora lontana dall’essere individuata con certezza”. Il testo prosegue offrendo statistiche scientifiche sul numero di gay stabilmente omosessuali (1,5 – 5 %) o con fantasie o rapporti in età prepubere e adolescenziale (30 %). Poi però incomincia a dispensare enunciati quantomeno dubbi: “Il comportamento omosessuale è caratterizzato da: 1) tendenza alla identificazione l’un l’altro da cui deriva la tendenza a riunirsi in gruppi omogenei e a fondare clubs privati; 2) struttura fortemente narcisistica della personalità che rifiuta il cambiamento”.

Il pezzo continua trattando alcune ipotesi sulla genesi dell’omosessualità. Recupera vecchie “spiegazioni” psicoanalitiche ormai abbandonate dalla maggior parte degli studiosi: «l’omosessualità è un disturbo acquisito della pulsione sessuale, indicativo del fallimento dell’esperienza edipica e di una regressione a pulsioni e fantasie pregenitali». Le cause di questo mancato sviluppo sarebbero seduzioni precoci, caratteristiche dei rapporti familiari e dell’educazione ricevuta.

Gli autori provano poi ad individuare le “cause” dell’omosessualità seguendo due strade diverse. Una prima direttrice si basa sulla scoperta di differenze anatomiche tra il cervello di eterosessuali e quello di omosessuali. Le ricerche sui ratti di Gorski[1] seguite da quelle di Levay[2] (su diciannove omosessuali deceduti per Aids e su sedici eterosessuali dei quali sei deceduti per Aids) hanno dimostrato che “negli omosessuali le dimensioni e la struttura del cervello sarebbero più simili a quelli delle donne”. Altri esperimenti  riguardanti la gestazione del ratto avrebbero stabilito che le femmine stressate partoriscono ratti omosessuali. Per cui una madre umana stressata darebbe origine ad un ratto…opss individuo omosessuale. (Ipotizzando un numero di partorienti stressate intorno al 90% mi chiedo perché l’universo non sia totalmente omosessuale).

 

Confortante che Levay e collaboratori si occupino di omosessualità in questo modo, immaginatevi se lo facessero seriamente.

Non è tutto, Levay sostiene che l’omosessualità è dovuta alla diversa “responsività” delle cellule nervose a normali livelli di ormoni androgeni circolanti. Ovviamente questa è una pura ipotesi, priva di qualsiasi conferma scientifica, ma ciò non impedisce agli insigni studiosi di “Medicina e morale” di spacciarla per un dato acquisito.

Altri ricercatori intravedono le cause dell’omosessualità nella genetica. Hamer ha osservato che la maggior parte dei parenti omosessuali di sesso maschile di omosessuali maschi appartiene al lato materno della famiglia, chiamando così in causa un’ipotetica associazione con il cromosoma X.

Siete omosessuali? È colpa della mamma stressata o portatrice di geni devianti.

Tuttavia i tre geniali redattori del pezzo concludono, fortunatamente, che gli enunciati sulla “causa” biologica e genetica dell’omosessualità non raggiungono la dignità della dimostrazione scientifica. Soddisfatto e pienamente in accordo con questa affermazione, mi appresto a leggere la conclusione: “prescindendo da ogni giudizio morale che non spetta a noi dare (“finalmente!”, penso) bisogna convenire che il meccanismo… fondamentale nella genesi dell’omosessualità è il fallimento dell’identificazione sessuale dell’individuo durante l’età prepuberale”.

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Il testo in questione è indubbiamente all’avanguardia. Dimostra che l’omosessualità esiste perché esistono scienziati che la rendono oggetto dei loro studi ed in mancanza di riprove scientifiche ricorrono a semplicistiche tesi di un secolo fa.

Ciò che temevo, dato il titolo, poteva essere quella negazione dell’esistenza dell’omosessualità che rappresenta una forma evoluta di razzismo. Invece i medici cattolici non possono più negare l’esistenza dei gay. Ma possono giudicare ancora, e non si esimono dal farlo: “Per quanto attiene l’aspetto bioetico, è interessante la conclusione di Bergler[3] (uno psicoanalista di estrema destra che ha passato la vita a sostenere che gli omosessuali sono malati): “La sola maniera efficace per combattere e controbattere l’omosessualità sarebbe la diffusione della conoscenza del fatto che non c’è nulla di affascinante nel soffrire della malattia nota come omosessualità, che tale malattia può essere guarita, e che questo disordine apparentemente sessuale è inevitabilmente accompagnato da un grave autolesionismo inconscio che inevitabilmente si rivelerà al di fuori della sfera sessuale, perché abbraccia l’intera personalità. Questa triade di contromisure potrebbe essere efficace a lungo andare”.

Ma si saranno accorti i firmatari del pezzo che nel 1973 (ripeto 1973) l’associazione psichiatrica americana (nonostante la battaglia accanita condotta contro tale decisione proprio da Bergler!) ha rimosso l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali e, nel 1984 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha confermato la scelta togliendo l’omosessualità dalla sua lista delle malattie, che è quella che “fa testo” per i medici di tutto il mondo. Italia inclusa.

Gravissimo dunque risulta il fatto che gli autori nascondano il fatto che Bergler è oggi decisamente in minoranza, e che a differenza di quanto affermato propongano giudizi chiaramente morali: “tali considerazioni sembrano oltremodo interessanti perché contemplano in un’ottica unificante aspetti etici, biologici e terapeutici di un comportamento sessuale che, specie negli ultimi anni, per l’affermarsi anche di una certa cultura di tipo permissivistico, rischia di sconvolgere i rapporti relazionali con inevitabili conseguenze psicosomatiche che possono avere ripercussioni negative anche sugli atteggiamenti caratteriali della specie”.

Eppure sarebbe bastato loro dare un’occhiata in libreria per trovare testi come ad esempio: Isay, Essere omosessuali o Chodorow, Maschile femminile plurale, nonché il recentissimo studio di Luca Pietrantoni, L’offesa peggiore (edizioni del Cerro, Roma 1999), che riprendono la questione edipica e considerano l’omosessualità un esito alternativi valido quanto l’eterosessualità; l’aggiornamento è il primo tra i doveri dello scienziato.

Mi preme sottolineare inoltre che oggi le ricerche sul campo devono tenere in considerazione tre aspetti: la spiegazione di cosa sia l’orientamento (omosessuale,  eterosessuale e bisessuale); la spiegazione dell’origine dell’orientamento sessuale considerando la differenza tra donne e uomini; infine una spiegazione capace di tenere presenti contemporaneamente gli aspetti biologici, esperienziali, familiari e sociali.

L’Università cattolica pretende di produrre cultura ma agli effetti pubblica saggi che non sarebbero stati attuali nemmeno vent’anni fa. Chiedendomi  se qualcuno si è accorto di questo, accantono il pezzo solo in parte sollevato.

Nel 1972 i cattolici a San Remo ad un congresso di sessuologia proponevano interventi neurochirurgici (lobotomizzazione) o la terapia a riflessi condizionati (scosse elettriche); qualcosa è sicuramente cambiato, ma un passo ulteriore va fatto, si chiama studio accademico.


[1] GORSKI R.A., HARLAN R.E., JACOBSON C.D. et AL., Evidence for existence of sexually dimorphic nucleus in the proepric area of the rat, J. Comp. Neurol. 1980, 193(2): 529-539.

[2] LEVAY S., HAMER D., Le cause dell’omosessualità, Le Scienze 1994, 311: 18-23.

[3] BERGLER E., Psicoanalisi dell’omosessualità, Roma: Astrolabio, 1970, p. 11.

(Pubblicato in “Babilonia”, novembre 20o0)

Stefano Bolognini ⋅

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