Marco sta facendo la farfalla

Ha incominciato a prostituirsi a sedici anni per ignoranza e bisogno. Dopo due anni ha smesso perché frequentare ambienti gay non erano così vergognoso come credeva. Un percorso di accettazione ‘al limite’ che dimostra che muovere i primi passi nel mondo gay può essere ancora molto difficile. Per questo ha deciso di raccontarci la sua esperienza.

Foto Badboy100s - Wikicommons

Ha incominciato a prostituirsi a sedici anni per ignoranza e bisogno. Dopo due anni ha smesso perché frequentare ambienti gay non erano così vergognoso come credeva. Un percorso di accettazione ‘al limite’ che dimostra che muovere i primi passi nel mondo gay può essere ancora molto difficile. Per questo ha deciso di raccontarci la sua esperienza.

Giovanissimo. È la prima impressione che colgo nello stringergli la mano in un angolo della Stazione centrale di Milano. Non gli darei i diciannove anni che dichiara forse per quel giubbotto nero di una misura in più che copre la sua magrezza o per il volto efebico coperto da un cappellino che gli nasconde due splendidi occhi azzurri.
Ha scritto una lettera a Pride chiedendoci di parlare “di quei ragazzi giovani e belli che per lavoro o per arrotondare si concedono a uomini più maturi… Non facciamo finta di nulla questi ragazzi esistono, sono come noi e spesso vengono a ballare con noi”.
Marco, ci ha chiesto di chiamarlo così, era uno di quei ragazzi che ha deciso di raccontare la sua storia. Ascoltandolo, mentre fuma nervosamente, mi vengono in mente tutti gli articoli letti sul disagio giovanile, tutti gli allarmismi su quanto la nostra società sia priva di valori o sulla troppa importanza che diamo al Dio denaro. Fandonie da moralisti.
L’esperienza di accettazione non comune del giovane che ho di fronte testimonia che anche vendere il proprio corpo ha una dignità e che esistono, nell’epoca della presunta accettazione globale dell’omosessualità, strada molto impervie per vincere la paura di ciò che si ha dentro.
Di fronte ad un prostituto, più o meno ‘redento’, si tende sempre ad attribuire allo stesso le colpe per la sua scelta. Si dice prostituto nato, strada segnata, ignoranza, famiglia distrutta alle spalle e altro. Lo decida il lettore. Marco ormai visibile e dichiarato anche in famiglia non si sente vittima delle sue scelte. Ma se solo avesse incontrato prima dei sedici anni un gay visibile forse…

Marco, iniziamo con la tua storia.

Ho incominciato a frequentare Milano molto presto a sedici anni.
Non conoscevo nessun gay, nessun locale e nessuna rivista. Ho acquistato in un’edicola alcuni giornali porno. Erano molto vecchi di inizio anni Nnovanta ma erano gli unici in offerta speciale!
All’interno era pubblicata una guida datata e c’era segnalata anche una famosa piazza…
…Piazza Trento…
Piazza Trento e sotto c’era scritto “marchette” ma non sapevo ancora cosa volesse dire. Ci sono passato per curiosità in pieno giorno ma non c’era nulla. Una sera, prima di tornare a casa, sono ripassato e ho visto quello che succedeva. Era la prima volta che vedevo prostituirsi degli uomini e sono rimasto molto colpito. Sulle auto non c’erano i vecchi maniaci che immaginavo, ma molti ragazzi giovani e pure belli. Avevo finalmente trovato l’omosessualità. La settimana dopo era già in piazza. Credo per curiosità. Oppure perché la mia voglia di battere è innata! (sorride, ndr.)
Avevi già avuto esperienze gay?
No le mie prime esperienze gay le ho fatte in strada. All’epoca andavo ancora a scuola ed ero fidanzato con una ragazza. Sai com’è abito in provincia e lì la compagnia di amici è un ingranaggio da cui è difficile uscire anche se già sentivo dentro ciò che sono…
Ma scusa sulla guida erano segnalati anche locali. Perché non hai incominciato da quelli?
Immaginami come il classico ragazzetto di provincia che non conosce l’ambiente gay. Addirittura credevo che la sauna fosse semplicemente una sauna. Ero all’oscuro di tutto.
Non ho messo piede in locali gay perché non ne avevo una buona opinione. Vedevo i gay che li frequentavano come pecorelle in un recinto. Consideravo i locali un limite alla mia libertà. In realtà avevo vergogna. Paura di entrare. Non è facile entrare giovane e solo in un locale gay senza nessuno a cui tenere la mano.
Che informazioni avevi sull’omosessualità?
Dell’omosessualità sapevo quello che passa Canale 5. Avevo un’idea bizzarra, colorita da barzelletta. Non avendo mezzi non potevo ne confermarla ne negarla. In più giovanissimo mi hanno chiuso in una scuola religiosa. Immagina ‘l’impostazione’ bigotta e moralista che mi hanno dato.
In che misura il bisogno di denaro ti ha attratto verso la prostituzione?
I soldi? Alcuni marchettari li usano per comprarsi magliette o scarpe da tennis. Essendo studente non trovavo un lavoro e avevo anche bisogno di pagarmi gli studi. Alle volte li usavo per mangiare qualcosa.
Giunto in piazza cosa è successo?
Sono diventato subito amico degli altri marchettari e piacevo molto al capo, un brasiliano…
…capo?
Non lo chiamerei protettore. Gestisce ‘l’andazzo’… Lì può battere chiunque. Lui ti protegge solo dagli altri nel caso tu venga aggredito perché lavori troppo. Essendo suo amico avevo delle agevolazioni, i posti migliori, la birra fresca e la protezione.
Che impressione ti hanno dato i tuoi clienti?
Non frequentavano i locali e l’unico loro sfogo era la prostituzione. Dovevano rimanere in incognito perché avevano una famiglia. Altri non erano dichiarati perché lavoravano con i propri famigliari. I più vivevano l’omosessualità di nascosto. Poi c’era chi faceva un giro in piazza dopo la discoteca. I miei clienti erano gentili, io selezionavo, e se non lo erano duravano poco con me.
E gli altri marchettari?
Al novantanove percento erano all’ultima spiaggia. Non sapevano dove sbattere la testa, per fame e droga magari non pesante. Battevano per accattonaggio. Io ero pulito e avevo una famiglia, oddio una famiglia disastrata, ma almeno avevo un tetto.
C’era solidarietà fra di voi?
Si. Una sera per uno si paga da bere e se qualcuno ha la macchina si condivide la macchina. Quando un cliente vuole due giovani ci si scambia il telefono e si fa qualcosa insieme. Non mi sono mai innamorato degli altri prostituti anche se uno di loro mi piaceva molto. Era effeminato, bello, alto e magro. Comunque In piazza ci vogliono i ‘coglioni’. Sia per evitare le coltellate sia per digerire gli insulti dalle macchine che passano. Bisogna farsi rispettare.
Credi che il denaro che ricavavi fosse una sorta di giustificazione per soddisfare i tuoi gusti gay?
Sì i soldi erano la scusa buona che mi permetteva di andare a letto con gli uomini. Quasi tutti quelli che battono usano la stessa giustificazione. Che nessuna dica vado a marchette perché sono ‘etero’. Non è vero. Se uno è ‘etero’ veramente davanti ad un uomo non gli viene duro. È come mettere un gay passivo e ‘donnissima’ davanti ad una ragazza. Non c’è niente da fare! Guadagnavo dai cinquanta ai settanta euro. Facevo un cliente solo ed ero contento e, poi, me ne tornavo a casa. Non facevo come gli altri che stavano lì anche tutta la notte. Ho detto no anche ai clienti che avevano le agenzie di ragazzi…
…agenzie di ragazzi?
Hanno quattro o cinque ragazzi che presentano a uomini facoltosi e sulla marchetta prendono una percentuale del cinquanta percento. I soldi andavano prima a questi gestori che poi pagavano i ragazzi. Quella percentuale sembra peggio delle tasse dello stato (ride, ndr.). Se ci pensi non è una cifra alta. Erano marchette da minimo cento euro e il ‘gestore’ ci metteva la casa, la faccia la presentazione. A una marchetta basta fare uno o due clienti a giorno che si porta a casa uno stipendio buono. Altro che lavorare in fabbrica per otto ore.
In strada hai scoperto il sesso. Com’è stato?
È stato primitivo. Veloce. Quello che si fa in auto. Ma non era sesso… erano sveltine. In pochissime occasioni e con pochissime persone c’è stato vero piacere. Non è facile unire il dovere al piacere.
Mai pensato di trovarti un lavoro?
Studiavo e come ti ho detto avevo bisogno di pagare gli studi. I soldi che guadagnavo erano in parte soldi facili.
Cosa è cambiato ad un certo punto?
Una sera sono salito in macchina di un quarantenne. Era un amico di mio padre e abita nel mio stesso paese. Non sapevo fosse gay. Quella sera abbiamo solo parlato di locali e della vita gay che non conoscevo. Dopo due mesi ho smesso di battere. Erano passati due anni dal mio arrivo alla piazza. Due estati.
Lui mi ha accompagnato nel mio primo locale, una discoteca. Mi sono anche dichiarato in famiglia. Mia madre è siciliana non la presa bene. Le sta passando come potrebbe passare un mal di testa. Mio padre se ne frega. È dell’idea che la vita sia mia e debba fare ciò che voglio.
Ma se non avessi incontrato quell’uomo?
Sarei morto. Morto tra virgolette. Insomma, morto socialmente. Non avrei cavato niente di buono dalla piazza. Ora abito con lui e lavoro nella sua azienda. Non siamo fidanzati ufficialmente gli voglio bene. Il nostro è un rapporto di ‘riconoscenza’.
Rispetto alle idee che ti eri fatto come hai trovato l’ambiente gay?
Fuori dalla discoteca avevo molta vergogna. Inizialmente mi rifiutai di entrare. Poi ho fatto addirittura la tessera e dentro mi sono divertito molto. Sono cambiato da così a così. Pensa, ho incontrato anche dei mie clienti nei locali. Non sono stato additato, mi hanno semplicemente salutato.
Torneresti in piazza?
Non ritornerei in piazza ma non sono pentito. A sedici anni avrei potuto spacciare o rubare ma non me la sentivo. Sono andato in un posto che mi ha insegnato a vivere. Li ho capito cosa fosse davvero l’omosessualità. I gay non sono solo quelli che vanno in televisione a ballare ma sono anche quelli che vanno in fabbrica o fanno il vigile urbano. L’omosessualità è varia. Non me lo sarei mai aspettato. Ero ignorante. In piazza ho incontrato anche un uomo che mi ha cullato. Era la prima volta ho avuto un’infanzia terribile. (Pubblicato in “Pride”, dicembre 2003 con lo pseudonimo Andrea Gabrielli, pp. 24-25).

Commenta

  • (will not be published)